mercoledì 28 marzo 2018

storia parte 3: la solitudine insondabile

fa' che le nostre anime non diventino grigie
fa' che le nostre anime non diventino aride
(We fall apart, A word in season, 1985)


Capitolo successivo.
In Sicilia possedevo un vecchio piano, difettoso e scordato, ma di cui colsi un grande potenziale nel suono cupo ed evocativo. Lunghe preziose ore di solitudine e di prove sottratte alla spiaggia posero le basi a un nuovo modo di scrivere e a nuove possibilità ritmiche, insieme all'ispirazione inesauribile costituita dal mio "giardino", di cui parlerò diffusamente. Questo avveniva d'estate, mentre in inverno mi approcciai alla chitarra, che, sebbene abbia suonato raramente nelle registrazioni, è stata spesso lo strumento con cui ho abbozzato i nuovi pezzi. Il rapporto quasi fisico che si crea con la chitarra rende possibile un approccio più immediato e viscerale alla composizione.
I miei gusti in quegli anni pendono decisamente verso la musica inglese new wave e dark, la cui influenza sulla mia musica è subliminale ma non trascurabile: è nel nero delle copertina (che contiene solamente il mio monogramma in bianco), ma anche nelle armonie ripetute, in certo minimalismo delle melodie, nella ricerca di suoni sintetici, persino nella mia pronuncia inglese sfacciatamente londinese. Anche se ho sempre amato troppo il pop per diventare dark.
Tutte queste cose insieme portato a un lento cambiamento di stile e a nuove potenzialità espressive, ed è qui che si situa la mia successiva coppia di album. A partire dai titoli, che cominciano ad essere complessi (la mia passione per i titoli! scriverei canzoni solo per poter dar loro dei nomi). 
A word in season riprende la mia anima pop, con divertenti incursioni nei generi più diversi.
Ma nell'album gemello i temi si fanno più esistenziali, le atmosfere più cupe, la musica più “seria”.
Il titolo completo è Plaster Ceilings (and walls of ice) (da una canzone di Don McLean: “why must windows and doors and plaster ceilings separate us from each other's feelings?“)
Un'altra citazione importante contenuta nel libretto (altra novità) è dalle lettere di Van Gogh, riportata con snobismo nell'originale francese: “Non saprei dire cos’è che ci rinchiude, che sembra seppellirci, quali sbarre, quali grate, dei muri...” . Insomma, è chiaro che l'album (che ha come ulteriore sottotitolo "il teorema dell'abbandono") vuole essere una specie di trattato sull'incomu­nicabilità, sulla solitudine (prima o poi ci si casca tutti). Non parlo direttamente della mia solitudine, tiro fuori la materia prima da me e la esploro in un'intera tavolozza di sfumature, di possibilità, la plasmo in altre forme ed altre storie, che siano in prima o terza persona, ma le storie che racconto non sono le mie, e sono sicuro che allora non cercavo di travestire artificiosamente le “mie” sensazioni, almeno non mi ponevo il problema consciamente.
I testi infatti sono più intimi, e anche più “pesanti”, se così posso dire, e sono molto legati alla musica. Con Plaster Ceilings riprendo decisamente in mano il filo iniziato quando scrivevo canzoni sui diari, e, calando progressivamente la maschera, mi porterà dritto fino all'enorme lavoro di Visions.
Possiamo considerare questa fase creativa conclusa con un evento preciso, un concerto di beneficenza (il "concerto per Araujo"), in preparazione del quale fui costretto a fare ordine tra tutti i miei appunti, sistematizzare la roba che ancora non era stata collocata da nessuna parte, completare i testi che ancora mancavano. Feci quindi una sorta di raccolta alla "basement tapes", in cui raccolsi inediti, registrazioni fatte in gruppo, nuove versioni di canzoni già registrate, rispondendo contemporaneamente al bisogno di tirare le somme sul periodo trascorso, e concluso con il concerto, e a quello di gettare le basi per il futuro. C'erano infatti molte tracce che non avrei più sviluppato e altre che sarebbero confluite nei due album seguenti. L'album era una doppia cassetta dal titolo Here and there (sottotitolo pettegolezzi indiscrezioni curiosità), e rappresenta una sorta di spartiacque tra due periodi precisi. Da qui in poi, si comincia a scrivere la Storia.