lunedì 21 novembre 2016

Il racconto e il romanzo

Sto scrivendo una canzone alla Bruce Springsteen
e non è esattamente il tipo di cosa di cui vado fiero.
(This song, Visions)

Figlio di “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band”, “The wall" o "The six wives of Henry VIII" (per citar esempi molto diversi), è comprensibile che abbia sempre avuto l'obiettivo di realizzare "album" più che canzoni. Affascinato, quando non ossessionato, da un'idea modernista della letteratura e da una consapevolezza dell'arte concettuale, ho spesso pensato in termini di un "tutto" che fosse di più della somma delle sue parti. Anche se non ho mai realizzato il "concept album" nel senso tradizionale, l'idea di unità, non solo temporale, che comporta inevitabilmente continuità di stile, ma progettuale, è ricorrente nella mia produzione.  Le mie canzoni sono talmente diverse tra loro che nessuno potrebbe farsi un'idea completa scegliendone una a caso (anche perché spesso inserisco brani interlocutori, scherzosi o strutturali, ripresa di motivi ecc.), ma solo inserendola in un contesto.

Anche in questo campo, inutile dire che si tratta di un gioco quasi esclusivamente mio. Pochi percepiscono l'immane lavoro che c'è dietro a un album, soprattutto quello di scarto e selezione. Molti hanno un'idea romantica dell'ispirazione artistica (un'entità magica che quasi detta la canzone finita sotto trance), e tendono a ignorare tutto il processo che avviene tra l'ispirazione e la registrazione. Ma d'altronde è bene che tutto questo lavoro sia invisibile, e che l'ascoltatore percepisca la musica come se scaturisse in quel momento da chi la suona, deve vedere la statua e non il lavoro di lima o di scalpello. Se arriva un'emozione, e non il lavoro tecnico che l'ha prodotta, ho raggiunto il risultato.

Qualcuno obietta che aggiungere sovrastrutture concettuali inquina il godimento puro della musica.
Il razionale e l’emotivo; l’ineffabile e la tecnica; il soggettivo e l’oggettivo. C’è da riempire volumi di filosofia della musica. Dal mio punto di vista, io l’ho risolto così: la conoscenza e la preparazione per così dire “intellettuale” non tolgono nulla alla fruizione di un’opera artistica, o se tolgono un certo piacere grezzo dell’ingenuità lo sostituiscono con uno ben maggiore di godimento estetico o mentale. E’ vero che chi più "sa" perde quello stupore infantile davanti alla bellezza, e diventa anche più selettivo, ma aggiunge nuovi livelli di comprensione che aumentano di complessità l’esperienza artistica.

D'altro canto ognuno sentirà qualcosa di diverso nello stesso brano. Il musicista noterà i passaggi armonici degli archi, il batterista sarà ipercritico su come ho usato la ritmica. Chi mi conosce metterà istintivamente i miei testi in rapporto con me, e chi invece li trova sul web li leggerà con distacco. Ci sono troppi fattori personali e di contesto che influenzeranno chi ascolta, che qualunque messaggio io trasmetta arriverà passando attraverso una montagna di filtri. E' impossibile pretendere di decidere quello che viene comunicato o di imporre un'emozione o un'interpretazione.
La musica è anche l’arte di non dire.

Quindi è affascinante pensare che nel momento in cui quella roba è registrata su un qualunque supporto, esce da me, non è più roba solo mia, chi la ascolterà ci troverà quel che vuole, non proverà le mie emozioni, ma le sue, capirà le parole come vorrà, le assocerà alla sua vita. E qui c’è anche tutto il rituale legato al distribuire un album, creare aspettativa, far leggere i testi. Immaginare l'amico davanti all'enorme distesa di una musica inattesa, immaginare le mie creazioni che si diffondono in un altro ambiente e assumono altre forme, provocano reazioni. E' un'operazione di tipo e dimensioni completamente diverse dal fare ascoltare una singola canzone in privato.

Ma poi è vero che le canzoni decollano, prendono vita propria, una rimane in testa più di un'altra, e ricompare all'improvviso sotto la doccia, perché ha un suo carattere a prescindere dall'inclusione in un album. Per questo non credo che l'album sia un limite, più di quanto lo sia un'esposizione per un quadro o una raccolta di racconti per un racconto. O una bella scatola per un cioccolatino.