giovedì 15 febbraio 2018

storia parte 2: il complotto della melodia

vi stordirò, vi tramortirò,
perché nessuno più può sfidarmi ora,
ragazzi, ho veramente uno stile irresistibile!
(Irresistible Style, The Melody Plot, 1984)

Uscito dal tunnel della saga cosmica o medievale, quasi per reazione mi tuffai in un mondo di canzoncine acqua e sapone da juke box anni '60, ritmi di twist e di beguine, sulla scia della moda delle "radio graffiti" e Grease, e dei miei ascolti di Elvis, complici anche gli accompagnamenti ballabili preconfezionati del mio organo. Queste furono le prime canzoni che ho suonato con amici in cantina e poi anche dal vivo.
Era un puro gioco, facevo affettuosamente il verso a uno stile che associavo al divertimento e alla leggerezza, ma non senza ironia. Per esempio I need you, uno sdolcinato shuffle in 12/8 su giro di do, cantata in stile crooner, un testo estremo, quasi zappiano, fu a lungo la mia canzone di maggior successo, quella che anche dopo anni tutti ricordavano. Esempio significativo di un duplice livello di interpretazione della mia musica: un'apparenza orecchia­bile e piaciona, e un livello più intimo, noto solo all'autore, che sorride dietro le quinte. Cui fa parte anche il gioco di parole del titolo, The Melody Plot, “Il complotto della melodia”, che parafrasa il film di Hitchcock “Family Plot”
In pratica portavo avanti due produzioni musicali indipendenti, quella segreta e quella pubblica, il mio mondo intimo e il gioco della musica. Le due cose han finito per combaciare, ma il passaggio è stato graduale: prima di mettere in piazza qualcosa di proprio, c’è molto da imparare. 
Segue una fase di produttività compulsiva, potevo scrivere una canzone al giorno, e in poco tempo compilai altri cinque album, raggruppati per omogeneità tematica o di ispirazione, ma che in prospettiva possono essere visti come un tutto unico.
Per prima cosa feci “uscire” simultaneamente due album (anni prima aveva fatto la stessa cosa uno dei miei riferimenti giovanili, Edoardo Bennato, portando assieme in classifica “Sono solo canzonette” e “Uffà Uffà”).
In un gruppo finirono tutte le canzoni legate da un certo filo comune sognante, da argomenti fantasiosi, musicalità oniriche, e diventarono The Princess of Snow (La Principessa della Neve), titolo scelto unicamente per il carattere evocativo (il titolo di backup era A Way Through, “Una Via Attraverso”, intendendo la musica come una porta per passare dal mondo reale a quello segreto, come lo specchio di Alice).
L'altro si chiamava invece The Daily Miracle (con una illustrazione che faceva il verso a “The Daily Mirror”, nota testata britannica) e il fil rouge è una sorta di dichiarazione di poetica, che celebra la bellezza della vita, e lo scorrere del tempo.
Per realizzare tutto questo avevo a disposizione ancora solo il suono piatto e primitivo dell'organo, che ora non era più astrale e psichedelico, ma era diventato per me una sorta di suono interiore, come un canto a bocca chiusa, quasi un prolungamento fisico della mia voce. Ma a risentirlo oggi è tollerabile solo ad arricchirlo con la fantasia.
Le canzoni invece evolvono, le idee a poco a poco diventavano più concrete, la stesura musicale più consapevole (note non ribattute, struttura non standard, metriche variabili), la scrittura più complessa, e cominciavano a prendere forma temi di più largo respiro, e un pochino più intimi di quelli di The melody plot, ma siamo ancora lontani dall'autobiografia, se è vero che racconto un viaggio in macchina coast-to-coast (Another day's fading lights), o la caduta e la redenzione di un uomo tra due notti di Natale (One year in one man's life). Ma non c'è bisogno di essere innamorati per scrivere una bella canzone d'amore, e si possono scrivere libri d'avventura anche restando a casa.
In The Daily Miracle ci sono almeno due canzoni che hanno avuto a lungo una vita propria: Good morning, Mrs. Applestoneil mio primo esempio di canzone buffa, tradotta anche in italiano per un concerto, e Call me whenuna ballata sentimentale, molto classica, di grande e scontato successo.