questa canzone non è un segreto
anche se è scritta in codice
(This song, Visions)
Esistono prove scritte (e non magnetiche) che i miei primi abbozzi di testi furono in italiano; versi da diario scolastico, per intendersi, di cui non ricordo nemmeno la melodia. Perché allora cominciai la mia produzione registrata (e continuai per lungo tempo) soltanto in inglese, tanto più che avevo ascoltato tantissimo i cantautori italiani? Possiamo azzardare alcune ipotesi.
1) l'influenza (già detto) di musica e letteratura inglese;
2) nelle prime esperienze in gruppo giocavamo con la musica americana (rock'n'roll e doo-wop - eravamo nell'epoca post-Grease);
3) la mia voce, così poco fonogenica in italiano, diventa tollerabile in inglese;
4) l'inglese mi permetteva di giocare con la voce in tanti modi, scimmiottando diversi generi dal crooner al rocker, mentre in italiano non conoscevo modi alternativi di cantare;
5) i testi in inglese potevano essere anche inventati, o comunque mi permettevano di essere approssimativo senza doverci lavorare tanto;
6) in inglese potevo inserire riferimenti personali, senza farli capire da nessuno.
L'ultimo fattore è probabilmente quello che è durato nel tempo. Potevo aprirmi ma restare dietro a una maschera; potevo parlare di me senza che nessuno neanche si ponesse la domanda. L'azione di travestimento della verità, presente comunque in qualunque espressione di tipo artistico, è portata all'estremo. Se quando senti cantare nella tua lingua puoi anche illuderti momentaneamente che la persona stia raccontando quello che prova (sorvolando magari sul fatto che sono pensieri di qualche anno prima), se c'è di mezzo una traduzione questo cortocircuito viene interrotto.
Infine scrivere in una lingua non propria introduce necessariamente filtri anche per chi scrive. Si cerca la rima, l'assonanza, il significato, ma le parole non hanno più le connotazioni che possono avere nella tua lingua. Compito per me tanto più difficile e paradossale in quanto cercavo, in inglese, di usare parole con valenza simbolica o evocativa.
2) nelle prime esperienze in gruppo giocavamo con la musica americana (rock'n'roll e doo-wop - eravamo nell'epoca post-Grease);
3) la mia voce, così poco fonogenica in italiano, diventa tollerabile in inglese;
4) l'inglese mi permetteva di giocare con la voce in tanti modi, scimmiottando diversi generi dal crooner al rocker, mentre in italiano non conoscevo modi alternativi di cantare;
5) i testi in inglese potevano essere anche inventati, o comunque mi permettevano di essere approssimativo senza doverci lavorare tanto;
6) in inglese potevo inserire riferimenti personali, senza farli capire da nessuno.
L'ultimo fattore è probabilmente quello che è durato nel tempo. Potevo aprirmi ma restare dietro a una maschera; potevo parlare di me senza che nessuno neanche si ponesse la domanda. L'azione di travestimento della verità, presente comunque in qualunque espressione di tipo artistico, è portata all'estremo. Se quando senti cantare nella tua lingua puoi anche illuderti momentaneamente che la persona stia raccontando quello che prova (sorvolando magari sul fatto che sono pensieri di qualche anno prima), se c'è di mezzo una traduzione questo cortocircuito viene interrotto.
Infine scrivere in una lingua non propria introduce necessariamente filtri anche per chi scrive. Si cerca la rima, l'assonanza, il significato, ma le parole non hanno più le connotazioni che possono avere nella tua lingua. Compito per me tanto più difficile e paradossale in quanto cercavo, in inglese, di usare parole con valenza simbolica o evocativa.